İntervento di corpi e terra all’assemblea nazionale di Non una di meno a Reggio Emilia
La nostra assemblea fa parte di Non unə di meno, che noi abbiamo cominciato a scrivere con lo schwa. L’8 marzo scorso abbiamo lanciato lo sciopero antagonista permanente e pubblicato il manifesto per l’autodeterminazione e la liberazione. La scrittura del manifesto è un processo aperto, collettivo, orizzontale e partecipato attraverso la pratica delle laboratorie. Siamo consapevoli del fatto che non tutte le assemblee di Non una di meno assumono le parole e le pratiche affermate nel nostro manifesto e che parliamo per ora da un margine, ma un margine importante che si va estendendo anche a livello globale che si chiama ecotransfemminismo antispecista aperto alla sperimentazione di relazioni multispecie.
Siamo parte di Non una di meno perchè lo viviamo come un movimento che non ha come obiettivo l’omogeneizzazione delle pratiche e dei pensieri, l’arrivare tuttu ad un punto, ma come uno spazio di convergenza, di dialogo, di ascolto e di individuazione di strategie comuni quando possibili.
Da questo margine pratichiamo quelle intersezioni necessarie tra ecologismo, transfemminismo e antispecismo rilevandone le comuni matrici oppressive. E a chi ci interroga sulla rilevanza politica dell’antispecismo all’interno del transfemminismo, rispondiamo che qualsiasi individuo, qualsiasi corpo che si sottragga alle gerarchie binarie imposte da questo sistema è soggetto politico e parte di questa rivoluzione.
Privilegi e gerarchie producono discriminazione e repressione verso tutti i corpi delle soggettività che si sottraggono alle norme imposte di genere,di orientamento sessuale, di classe, di specie, di performatività e abilità, di età, di provenienza geografica e culturale. Lo spazio politico deve essere uno spazio liberato proprio perché possano ascoltarsi quelle voci dai margini di tutti quei corpi e territori costretti alla povertà, alla colonizzazione, alla razializzazione, alle frontiere, allo sfruttamento. Non vittime ma corpi in lotta, corpi resistenti mossi da desideri, sogni e piaceri per una reale trasformazione che non abbiamo timore a chiamare rivoluzionaria. Le parole genocidio, tortura, stupro, separazioni forzate, sfruttamento, violenza, gabbia sono parole che esprimono esperienze che condividiamo anche con gli animali non umani. E sono proprio quei corpi che scappano dai mattatoi, dalle gabbie, dalla schiavitù, dalla violenza a mostrarci la possibilità di un cammino di liberazione.
Corpi in rivolta che gridano il desiderio di autodeterminazione. Le soggettività animali umane, decidendo di autonarrarsi come “homo sapiens” legittimano e giustificano qualsiasi forma di potere dominante, identificando le soggettività animali come esseri inferiori.
Questo diventa paradigma di riferimento per l’animalizzazione di corpi anche umani naturalizzando lo sfruttamento, l’incarceramento, la psichiatrizzazione e la patologizzazione, la tortura nei luoghi di detenzione e l’uccisione.
Pardigma di riferimento anche del terricidio che si esprime attraverso estrattivismo, occupazione e colonizzazione di interi territori. L’intersezione tra liberazione animale, lotta ecosistemica e di classe continua ad essere lasciata ai margini del margine impedendo lo sviluppo di quell’immaginario che può fondare altre economie, parlare di riconversioni e rigenerazioni, di altri sistemi di produzione e alimentari, della ripubblicizzazione di acqua e salute, di decrescita ri/produttiva in questa parte del mondo, di fonti energetiche alternative, di altre relazioni di comunità in grado di invertire la corsa di questo sistema che sta causando pandemie e disastri ambientali, sociali, culturali e politici. A questo sistema violento ed oppressivo vogliamo contrapporre l’obiettivo del buen vivir e della costruzione di alternative di cui le pratiche antispeciste sono elemento imprescindibile. Per questo ci chiediamo e ci chiediamo ancora quali siano le motivazioni delle resistenze che, oltre ad attraversare il movimento transfemminista attraversano anche quello ecologista e che portano tuttu a parlare di ambiente, di persone umane, di foreste, del pianeta ma che tralasciano sempre le istanze degli altri animali, di quei milioni di soggettività sfruttate direttamente per cibo, vestiario, scienza ed intrattenimento.
Perchè se è vero che certe scelte sono personali, ma il personale è politico, decidere di abbracciare l’antispecismo è una scelta politica in quanto nessuna libertà può fondarsi sull’oppressione di altre soggettività.
Siamo la natura che insorge diceva lo striscione di apertura a Bologna. La natura è diversità. Diversità è un concetto che porta a valore la specificità di ogni elemento di questo ecosistema, una diversità che si fa corpo collettivo senza ingabbiarsi in un sistema unico,
senza priorità, senza lasciare indietro nessunx. L’intersezionalità non può che esserne la pratica, non una parola vuota, non uno slogan, ma un processo di insorgenza come quello che dal 22 ottobre a Bologna ci porterà a Napoli il 5 novembre a gridare mo’ basta fino a Roma il 26 novembre e oltre
Con queste parole chiave
Che nessun venga lasciato fuori!! Liberazione e autodeterminazione per tutt
